Formazione ed Empowerment, un investimento a lungo termine

In tempo di crisi, come quello attuale, sembra farsi largo l’idea che la formazione sia un’esperienza secondaria poiché sottrae tempo e denaro a ciò che porta a benefici immediati e facilmente riscontrabili.

La formazione inoltre, ha a lungo rispecchiato una realtà che non c’è più da tempo, in cui si puntava a governare il futuro ipotizzandone la linearità, ritenendo che una buona programmazione potesse condurre a prefigurare, con una certa precisione, anche i futuri scenari, relegando quindi i soggetti al ruolo di meri spettatori contrapposti ad una sovraesposizione del ruolo dell’insegnante, dispensatore di contenuti da memorizzare fedelmente e da applicare acriticamente.

Eppure, rispetto al passato non sono cambiati i problemi che le organizzazioni si trovano a dover affrontare:

  •  Come sostenere la motivazione del personale? 

  • Come migliorare i rapporti tra manager e collaboratori? 

  • Come formare i soggetti orientandone le attese verso traguardi più ambiziosi e produttivi, incanalando le infinite possibilità date dalle nuove tecnologie?

Proprio come quando viene lanciato un sasso in uno stagno, anche nella formazione, l’apprendimento acquisito nel setting di apprendimento (punto d’impatto), si dovrebbe propagare dal centro verso la periferia, producendo “onde” che sono la combinazione delle esperienze di apprendimento con l’agire pratico, con effetti(benefici) che nel tempo saranno sempre più distanti dal punto di impatto iniziale. 

Un tipo di formazione empowerment oriented, in prospettiva psico-pedagogica, sembra soddisfare tale concezione e mira alla fiducia nello sviluppo delle risorse integrali della persona, alla responsabilità e all’auto-direzione dell’apprendere, nella tolleranza verso la diversità, nella padronanza della propria vita e nella partecipazione democratica alle decisioni (Piccardo, 1995).

In sintesi, nella capacità e nella possibilità del soggetto di modificare concretamente la realtà sul piano individuale, organizzativo e sociale, propagando così gli effetti della formazione.Una formazione in azienda per portare avanti questa concezione si dovrebbe concentrare sullo sviluppo di competenze comportamentali oltre alle classiche tecniche.Le prime, le cosiddette soft skill, sono le qualità personali e interpersonali che determinano la produttività, il livello di coinvolgimento e la collaborazione tra colleghi.Le soft skills sono competenze trasversali molto richieste negli scenari moderni del lavoro e delle organizzazioni, possono essere considerate delle abilità che contraddistinguono un individuo e che lo rendono unico. Queste sono molteplici: motivazione, resilienza, autostima, autoefficacia,  capacità comunicative, empatia, capacità di lavorare in gruppo, capacità di analisi, problem solving, gestione dello stress.

Al contrario di una competenza tecnica, con un’utilità settorializzata e spesso legata soltanto a determinati argomenti, una soft skill si riferisce al “reale” andando a incidere positivamente su tutta una cerchia di situazioni.Un soggetto in possesso di queste soft skills sarà una persona che saprà, in autonomia e/o attraverso il gruppo, gestire i problemi i cambiamenti ed affrontare le novità, sia a livello tecnologico che non, applicando al meglio le conoscenze tecniche già possedute o cercandone di nuove e facendole sue.

Si andrebbe così a sviluppare un professionista “T-Shape” capace di trarre vantaggio da tutte le sue skills, sia “hard” che “soft” e capace di trasmetterle al proprio team.

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